giovedì 31 dicembre 2009

Salta



Salta quel muro
Salta la fame, la fune, il fucile
Salta, gioca, ridi, cammina
Salta sul sole

- Foto di Valerio Bispuri


- "Seven seconds" (1994) Youssou N'Dour & Neneh Cherry il testo

- Provate voi il post del 31 dicembre di un anno fa.

domenica 27 dicembre 2009

Oltre il giardino



Peter Sellers (Chance Giardiniere) "interpreta una favola gentile sulla semplicità di cuore fraintesa e non più captata come tale dagli uomini, sulla disarmante stupidità del potenti, sulla manipolazione che i mass-media operano nelle coscienze, sull'incapacità di accogliere le verità più elementari e pure senza ricercarne sottintesi ambigui e furbeschi e quindi ritenuti potenzialmente pericolosi, da neutralizzare, assorbire e magari sfruttare".


"Oltre il giardino" (1979) Hal Ashby

martedì 22 dicembre 2009

Il sipario strappato

Questa è una storia italiana.

Migliaia di lavoratori di un'azienda di information technology, ricca di commesse pubbliche, precipitano nel baratro. Da mesi lavorano e non riscuotono lo stipendio; per protesta occupano la sede romana della Agile (ex Eutelia).




Nella notte tra il 9 e il 10 novembre 2009, un gruppo di vigilantes - guidati dall'ex amministratore delegato dell'azienda - effettua un blitz nella sede, spacciandosi per poliziotti. Sul luogo era presente l'inviato di Crash Federico Ruffo che riprende la scena. Le sue immagini entrano immediatamente nel circuito mediatico dell’informazione: il sipario si strappa, tutti i media sono costretti a parlare della situazione di quei lavoratori.



Da quelle immagini parte un servizio di Emilio Casalini e Federico Ruffo che parla di rabbia, solidarietà, speranza: "Ex Eutelia, la storia vera". il servizio di Rai Crash

A sostegno dei lavoratori ex Eutelia si impegnano diversi artisti, sulla scia di un'esperienza realizzata dai Têtes de Bois con "Avanti pop", un disco nato davanti le fabbriche, i call center, nei campi di pomodori, un viaggio-concerto a bordo del vecchio camioncino Fiat 615 del 1956 - da sempre emblema del gruppo - in luoghi nei quali la dignità dei lavoratori è stata violata e poi riscattata.



"Avanti pop" (2007) Têtes de Bois, in mp3

venerdì 18 dicembre 2009

Curare


"La cura" (1966) Franco Battiato

lunedì 14 dicembre 2009

Arancia blu


Malesia: uomini e animali si rifugiano nell'unico lembo di terra risparmiato dall'alluvione nel villaggio di Jeram Perdas.

La nuova guerra mondiale
"Gli scienziati più preveggenti, quando descrivono l’evoluzione possibile dello sconquasso climatico, parlano di guerra. Guerre tra Stati, per metter le mani su acqua, combustibili, metalli scarseggianti. E poi una guerra più enorme, mai vista, nella quale siamo già immersi come responsabili e vittime. Una guerra che impone revisioni radicali: nel modo in cui viviamo, pensiamo, diciamo; nell’idea che ci facciamo della democrazia, dell’economia. Michel Serres, il filosofo francese che insegna a Stanford, parla di guerra mondiale, un termine apparentemente noto ma che per lui significa tutt’altro: questa volta il conflitto è mondiale perché ha per protagonisti l’umanità e il nostro pianeta, il mondo. Un conflitto anomalo, non tra Stati...
...La piaga degli esuli ambientali è scritta nel nostro futuro e non la cureremo erigendo muri e distruggendo la globalizzazione, ma approfondendola. Sono i rifugiati climatici, e non hanno lo statuto dato ai profughi politici nel ’900. Alieni, non hanno diritti e questo è imprevidenza oltre che scandalo. Sono apolidi di un nuovo tipo, inascoltabili perché non i dittatori li perseguitano ma la natura...
...La paura secerne anche chiusura smagata, cuore indurito: la frana dell’altro non mi riguarda, separarmene mi salverà. Nessuno però scampa se si prosciuga il lago del Ciad (di cui vivono 20 milioni di persone), o se sono inondati i grandi delta del Gange, del Nilo, del Mekong. La paura di Jonas è fertile: «Bisogna appropriarsi della paura trasformandola nel dovere di agire. La responsabilità è la cura per un altro essere quando venga riconosciuta come dovere, diventando apprensione»...
...È pensare il futuro, il compito. Lo dice Machiavelli nel Principe, che sopravvivono solo le civiltà che prevedono discosto, lontano, come i Romani antichi: «Li quali, non solamente hanno ad avere riguardo alli scandali presenti, ma a’ futuri, et a quelli con ogni industria ovviare; perché, prevedendosi discosto, facilmente vi si può rimediare; ma, aspettando che ti si appressino, la medicina non è a tempo, perché la malattia è diventata incurabile»".
Barbara Spinelli, La Stampa, 6 dicembre 2009. Il testo integrale


Un'altra vita ha trattato il tema dei cambiamenti climatici in vari post, tra cui climate change-the age of stupid e riscaldamente globale.
Uniti contro la povertà e i cambiamenti climatici: qui un dossier.


La terra, come un'arancia blu, sorge e tramonta sull'orizzonte della luna.
Le immagini sono accompagnate da "What a Wonderful World" di Louis Armstrong. Il grande "Satchmo" si può vedere qui

giovedì 10 dicembre 2009

Rosetta


Emile Dequenne nel film "Rosetta" - clicca sulla foto per ingrandirla

Basta poco.
Una foto parla da sola e una frase ripetuta a mò di esorcismo è sufficiente ad indicare una scarna, ma fondamentale scala dell'esistenza.

"Tu ti chiami Rosetta. Io mi chiamo Rosetta. Tu hai trovato un lavoro. Io ho trovato un lavoro. Tu hai trovato un amico. Io ho trovato un amico. Tu hai una vita normale. Io ho una vita normale. Tu non finirai in un buco nero. Io non finirò in un buco nero. Buona notte. Buona notte".


"Rosetta" (1989) Luc e Jean Pierre Dardenne

"Rosetta vive con la madre alcolizzata in una roulotte ai margini di una qualsiasi città del Belgio, sempre in lotta con i lavori che vanno e vengono, i licenziamenti immotivati, le furbizie dei padroni, le ingiustizie subite sul posto di lavoro e la povertà, quella vera. Corre sempre, Rosetta, coi suoi scarponcini, tra il lavoro e la sua immobile casa su ruote, tra il tentativo di guadagnarsi da vivere e la madre da accudire, tra il sogno di una vita decente e la necessità orribile di tradire per poter sopravvivere nella giungla della miseria." Irene Bignardi

domenica 6 dicembre 2009

Senza velo


clicca sulla foto per ingrandirla: è bellissima

Una bambina si scioglie il velo e lo fa volare al vento, come fosse un aquilone. Nel cielo di Kabul.
Senza veli e talebani, senza signori della droga e della guerra, senza occupazioni militari. In pace.

"Non si possono contare le lune che brillano sui suoi tetti, né i mille splendidi soli che si nascondono dietro i suoi muri" Khaled Hosseini

mercoledì 2 dicembre 2009

Raccontata con la sabbia


Kseniya Simonova (2009) Ucraina

Ad una trasmissione della tv ucraina, una ragazza racconta storie con le proprie mani e una superficie illuminata ricoperta di sabbia.
Inizialmente la giovane disegna un paesaggio sotto le note di Nothing Else Matters dei Metallica suonato in violoncello dagli Apocalyptica.
In seguito i paesaggi e le scene vengono plasmate con rapidi movimenti delle mani che tolgono o aggiungono sabbia al "quadro", il tutto seguendo l'apprezzabile colonna sonora.
La storia raccontata con la sabbia parla dell'invasione tedesca del 1941.

mercoledì 25 novembre 2009

Invisibili



La classe invisibile alla ricerca di una voce

Le immagini degli operai che salgono su ciminiere alte 170 metri per restarci intere giornate, o su una gru, oppure occupano una fabbrica che ha annunciato il loro licenziamento, sono scorci di una realtà ignota ai più, frammenti che si intravvedono per un istante attraverso una finestra che viene subito richiusa. Sono immagini d'una condizione di vita e di lavoro che sebbene coinvolga ancor oggi milioni di persone è virtualmente ignota a tutto il resto della società. Scatti fotografici d'una classe sociale che resta altrimenti invisibile.
Aver reso socialmente invisibile il lavoro degli operai come insieme, come classe sociale, è uno dei tristi successi della società italiana degli ultimi decenni. Al presente, per gli uomini politici, compresi molti di sinistra, parlare degli operai come classe sembra un frusto ritornello, un indugiare su un passato irrecuperabile.
Perfino a molti sindacalisti non sembra un argomento su cui insistere; temono, a volte con ragione, di non essere più votati. Da parte loro le scienze economiche e sociali si sono impegnate soprattutto a scrutare l'avvento del post-industriale, o meglio della società della conoscenza, quel luogo radioso dove più nessuno si sporca le mani nè si rompe la schiena dalla fatica perché tutte le merci sono prodotte dalle macchine. Oppure da qualcuno in Cina o in India che anche se guadagna quattro euro al giorno e lavora settanta ore la settimana deve dir grazie, perché prima - ci assicurano - stava peggio. Pure ai narratori ed ai registi la classe che doveva andare in paradiso da tempo non interessa più. Rende maggiormente, anche sotto il rispettabile profilo della fama, occuparsi di crisi: non di quella economica, bensì degli adolescenti, dei quarantenni, delle famiglie di città o degli amori di provincia.
Di operai parla abbastanza spesso la TV. Quasi ogni giorno ci informa che qualcuno è morto cadendo dal tetto o calandosi in una cisterna o venendo travolto da un carrello mentre lavorava sui binari. Un po' più di rado ci informa che tot persone sono decedute perché hanno respirato amianto o altre sostanze nocive per decenni. Ma parla di questi come fossero sgradevoli eventi individuali, anziché elementi costitutivi della vita di tutti coloro che fanno parte, lo gradiscano o no, di una comunità di destino - che è il significato antico e perenne di classe sociale.
Eppure gli operai sono ancora tanti. Più o meno sette milioni, circa la metà nel settore manifatturiero e gli altri sparsi tra trasporti, costruzioni, industrie della conservazione, agricoltura e servizi vari. Nemmeno in un supermercato, quintessenza del terziario, i prodotti si collocano da sé negli scaffali, né le camere si rifanno da sole in un hotel. Quel che accomuna questa massa di persone, legandole materialmente a un destino collettivo, sono una serie di situazioni che basterebbero a riempire l'agenda politica di qualsiasi forza riuscisse ancora a vederle. In termini reali, le loro retribuzioni sono quasi ferme da oltre dieci anni, ovvero sono aumentate in misura minima rispetto agli altri paesi della Ue a 15. In rapporto al Pil, hanno perso in vent'anni tra 8 e 10 punti percentuali rispetto alle rendite e altri redditi da capitale. Si tratta di decine di miliardi di euro l'anno che sono andati ad altre classi sociali. A forza di riforme del sistema previdenziale fondate, più che sui bilanci effettivi dell'Inps o sull'andamento reale del rapporto tra attivi e inattivi, sull'accusa di ostinarsi a vivere più a lungo, vanno incontro a pensioni da poveri. Non bastasse, adesso la crisi ha posto questa massa di persone, grazie anche alle riforme più che decennali del mercato del lavoro, dinanzi a un aspro scenario: molti lavoratori che contavano su un'occupazione stabile l'hanno persa o stanno per perderla. Molti disoccupati non troveranno lavoro per anni. Una quota rilevante di essi non lo troverà mai più.
Le immagini degli operai che protestano, in forme nuove o tradizionali che siano, se uno guarda bene, hanno nello sfondo queste situazioni. Comuni a tutti loro. Se un politico vi dice che le classi sociali non esistono più, suggeritegli cortesemente di cambiare mestiere.
Luciano Gallino, repubblica.it, 24 novembre 2009

Un'altra vita ha dedicato vari post a questo tema:


mercoledì 18 novembre 2009

Strade di ferro

"E' importante che lo sappiate, il treno viaggia solo a sinistra. Se c'è doppio binario lui occupa rigorosamente quel lato. Left, gauche, izquierda. Solo in casi specialissimi - lavori sulla linea, catastrofi - lo spostano a destra per il tempo minimo necessario. L'operazione ha un nome tecnico preciso: "Binario illegale". Indica che la destra è una temporaneità così straordinaria da essere fuori legge...fantastico...".
"L'Italia in seconda classe" di Paolo Rumiz (Feltrinelli, 2009).

Diario di un viaggio lungo oltre 7.000 km, su e giù per l'Italia attraverso tratte ferroviarie minori e semisconosciute, come quella che si vede nel primo video qui sotto. Un atto d'amore verso il treno ed una pungente denuncia di un modello di sviluppo che ha castrato molte strade di ferro.



Il treno è il protagonista di tante storie. Eccone alcune.
Qui sotto un Guccini d'annata (1982!) nella sua più celebre canzone. Anche in mp3, versione live


"La locomotiva" (1972) Francesco Guccini

Un avvincente film quasi per intero ambientato su un treno.

"Runaway Train" A trenta secondi dalla fine (1985) Andrei Konchalovsky

La scena finale di uno straordinario film che in forma allegorica narra l'Olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.


"Train de vie" (1998) Radu Mihaileanu

Una canzone di Rino Gaetano, che ci parla anche di storie italiane.


"Agapito Malteni, il ferroviere" (1974) Rino Gaetano
interpretata oggi da un gruppo dal nome singolare: Operai della Fiat 1100 (da un'altra canzone di Gaetano).

Avanza la modernizzazione, una di quelle parole che nascondono tutto e nulla, spesso fregature.
"Presa diretta", la trasmissione Rai di Riccardo Jacona ha svelato l'imbroglio.
18 anni fa è stato presentato per la prima volta il progetto della TAV, l'alta velocità ferroviaria. Era prevista una spesa di 15 miliardi di euro, quasi tutto da capitali privati. I politici dell’epoca, infatti, avevano promesso che l’opera si sarebbe in parte autofinanziata e che il 60 per cento dei quindici miliardi necessari alla sua realizzazione sarebbero arrivati da investitori.
La realtà è stata ben diversa: i quindici miliardi sono già diventati 32 e ancora la TAV non è finita. Purtroppo l’alta velocità è tutta a carico del cittadino che la sta pagando con le tasse perché per trovare i fondi lo stato italiano si è indebitato per decenni. Ci vorranno due generazioni per saldare il debito che ha contratto.
Nel frattempo Trenitalia punta tutto sulle frecce rosse ed il resto del trasporto (pendolari, merci) va a ramengo.

giovedì 12 novembre 2009

Pipì nella doccia




Quella che per molti è un piccola trasgressione potrebbe diventare un importante gesto per salvare la salute del nostro pianeta. L'idea è venuta a una ong brasiliana, SOS Mata Atlântica, che ha fatto un semplice calcolo: se tutti i cittadini brasiliani facessero una volta al giorno pipì nella doccia (evitando quindi di tirare l'acqua del wc) risparmierebbero ciascuno 4.380 litri di acqua potabile all'anno. Per chiarire il concetto la ong ha preparato un divertente spot animato, diventato in breve una star della Rete.
La campagna, chiamata semplicemente «Pipì nella vasca», è seria: l'obiettivo della ong è salvare in particolare la foresta atlantica del Brasile, un prezioso patrimonio di biodiversità distrutto per più del 90% nel corso del 20° secolo (per le coltivazioni di canna da zucchero e caffè) e ancora oggi minacciato per l'enorme sviluppo di due megalopoli, Rio de Janeiro e San Paolo. Insomma una pipì nella doccia pensando al pianeta. E senza effetti collaterali: essendo l'urina costituita al 95% di acqua, sottolinea la ong, non ci sono rischi igienici o di cattivi odori.
Da Corriere.it

il sito con una bella grafica con la quale giocare (il caricamento richiede qualche secondo).

giovedì 5 novembre 2009

I miserabili, Paolini e la Thatcher


"Una volta tutti lo sapevano chi erano i miserabili, perché leggevano Hugo e li vedevano per la strada. Oggi la miseria è l'avverarsi della profezia della Thatcher per cui non esiste la società, solo individui soli».

Lunedì 9 novembre ore 21.30, da Taranto in diretta televisiva su La7
"Miserabili, io e Margharet Thatcher", con Marco Paolini e i Mercanti di Liquore

L'Italia

Quand’io l’ho conosciuta l’Italia era già donna
e di costituzione robusta sana e forte,
e più che lavorare direi che tribolava
poi, dato che era grassa, madonna se sudava.
Due bestie nella stalla e un coro di galline
a cui tirare il collo per farci stare bene,
per farci fare festa, l’Italia si inventava
storie favolose, chissà come faceva!
Se la portavi in giro, l’Italia maglia rosa,
montava dietro in macchina perché era rispettosa,
mezzo sedile a lei e mezzo a noi fratelli,
non proprio di Mameli, però abbastanza belli.
Si andava a cena fuori e lei mangiava tutto
che poi ci si poteva specchiare dentro al piatto,
poi con la pancia piena di scatto lei si alzava,
faceva un bell’inchino, l’Italia, e poi ballava.
Noi zitti e affascinati dal ritmo dei suoi passi,
ballava proprio bene, come spesso fanno i grassi,
l’Italia nel volteggio sbuffava e si impegnava,
sembrava che cascasse… ma si risollevava.
Quando l’ho conosciuta eravamo compaesani,
puzzava di miseria e aveva modi strani,
con quel vocione forte e un tuono di risata
contenta perché viva e in più sopravvissuta
a guerra e dopoguerra e guerra dopo ancora.
Di indole puttana e in abito da suora,
maestra di furbizia e un po’ voltagabbana,
però rispetto ad altre, più tenera ed umana.
Avevi gli occhi ardenti e un bel gesticolare,
il seno prominente e un’aria familiare,
un corpo molto goffo e un po’ fuori misura
tenuto assieme a stento coi punti di sutura
eppure ancora bella, magnetica, attraente,
una bellezza impudica, a volte sconveniente,
propensa e ben disposta ai vizi del piacere
l’Italia, non lo nego, sapeva anche godere.
Con il passar degli anni ci siam persi di vista:
le scrissi molte volte ma senza mai risposta,
mi dissero che si era messa in certi giri strani
e che si accompagnava con ladri e con ruffiani.
Poi ieri l’ho incontrata dentro a un supermercato,
l’Italia, col carrello al reparto surgelati,
talmente dimagrita che mi pareva un’altra,
gli zigomi rifatti e la frangetta corta.
Avrei voluto dirle che avevo nostalgia
dei tempi in cui godevo della sua compagnia,
che la trovavo bella, davvero seducente
e che, anche se lontano, ero pur sempre un suo parente.
Lei mi ha guardato come si guardano i bambini:
mi ha chiesto se sapevo dov’erano i grissini.
Vedendomi perplesso di scatto s’è voltata
e in men che non si dica l’Italia se n’è andata.
Italia, antico amore, hai perso l’allegria
e forse non ricordi l’antica cortesia,
ebbene si, lo ammetto, ci son rimasto male,
che diamine! Potevi almeno salutare!
Però, malgrado tutto, ti voglio ancora bene,
qualcosa di me stesso ancora ti appartiene.
Ti piace far la stronza e farmi disperare
ma so che un giorno o l’altro ti rivedrò ballare.

di Lorenzo Monguzzi e Marco Paolini, musica Mercanti di Liquore

Per ascoltare la canzone clicca qui
"Ho sognato la Thatcher", un articolo di Paolini per l'Espresso (ottobre 2009)

giovedì 29 ottobre 2009

Raggio di sole


"Glósóli" Raggio di sole (2005) Sigur Rós

Un gruppo musicale dream-pop islandese, una strana lingua, un tamburino magico e la fantasia di ciascuno...

lunedì 26 ottobre 2009

La povertà che non fa scandalo

Urlo, foto di Edy Capannelle da Flickr

I miserabili
A Napoli un bambino è morto a sei anni di povertà. Veniva dall’isola di Capo Verde, ma sapeva già leggere e scrivere in italiano. Era educato, ordinato, molto pignolo, dicono le maestre. Amava il disegno e sognava di fare l’ingegnere. Si chiamava Elvis, come l’eroe del rock. Lo hanno trovato per terra, in una stamberga di venti metri quadri, i polmoni intasati dalle esalazioni di un piccolo braciere. Da quando l’Enel aveva staccato la corrente che alimentava la stufetta elettrica, quel fuoco improvvisato e velenoso era diventato l’unica fonte di riscaldamento di tutta la famiglia. Non c’era altro calore, non c’era più cibo. Ed Elvis se n’è andato così, addosso alla madre agonizzante, la testa appoggiata al ventre da cui era uscito sei anni prima per la sua breve e infelice partecipazione alle vicende del pianeta Terra.
Mi sento totalmente inutile, come giornalista e come essere umano, perché mi tocca ancora raccontare storie del genere, nel mio evoluto Paese. Ci riempiamo la bocca, io per primo, di parole superflue. Ci appassioniamo ai problemi di minoranze potenti e arroganti. E accanto a noi, in un silenzio distratto, si consumano le disfatte degli umili e dei mansueti. Persone come la mamma di Elvis, che fino all’ultimo ha provato a raggranellare onestamente qualche soldo per la stufetta, andando in giro a fare le pulizie. Il Bene ieri ha perso di brutto. L’importante è rendersene conto, non distrarsi, non rassegnarsi, organizzare la riscossa. Anche per Elvis, che tornerà a trovarci ogni giorno, sulla faccia di tanti bambini uguali a lui.
Massimo Gramellini, giornalista La Stampa


Urlo, foto di Elido Turco - Gigi da Flickr

La povertà che non fa scandalo
È un dramma contemporaneo eppure antico, quello di Manuela Rodriguez e di suo figlio Elvis che si è consumato in un basso del Rione Sanità, a Napoli. Il piccolo è morto, lei, Maria, è in coma, entrambi asfissiati dalle esalazioni di un braciere che la madre ha acceso per riscaldare l’ambiente, dopo che era rimasta senza elettricità e quindi senza stufetta per una bolletta non pagata. Contemporanea è la nazionalità di Manuela Rodriguez, venuta da Capoverde nel 1992, una donna speciale, unica, dicono con le lacrime agli occhi i vicini intervistati dalla televisione. Contemporanea è la condizione di “madre sola con figlio”, un’esperienza limite sulla frontiera verso il basso nell’attuale battaglia per la vita, per la sopravvivenza. Antica è la dignità, la volontà di Manuela Rodriguez di far vivere al meglio Elvis, che da grande voleva fare l’ingegnere, senza chiedere nulla a nessuno, se non al proprio lavoro. Una povertà che voleva bastare a sé stessa, che ha trovato accoglienza nell’antico quartiere di una grande città che custodisce la memoria di tante storie di povertà. Manuela Rodriguez, evidentemente messa in crisi nel proprio modesto, tirato bilancio da una bolletta forse mai recapitata in precedenza, ha trovato ancora una volta una soluzione da sola, per fare fronte al freddo improvviso. In attesa di poter pagare. Non sapeva, le mancava la memoria, che il fuoco acceso in una stanza chiusa è pericoloso, in quanti sono morti in passato nei bassi napoletani per questo stesso motivo? Lavoro, dignità, povertà sono antiche parole contemporanee. Parole di una presa di coscienza, che dovrebbe essere nuova, attuale, contemporanea, che dovrebbero fare piazza pulita dell’osceno sbandieramento della sicurezza. Chi ha messo in sicurezza la vita di Manuela e di Elvis? Perché la loro vita – la vita di tutti quelli come loro – deve essere esposta al pericolo della mancanza di quello che serve per vivere? Dovrebbero essere questo, l’amore per Manuela e suo figlio, l’indignazione, la rabbia per questa colossale ingiustizia, la motivazione di una scelta politica, di un impegno, della volontà di far sentire la propria voce. O è troppo antico?
Bia Sarasini, giornalista e saggista

giovedì 22 ottobre 2009

The end (nuclear war)



Un mese fa il Consiglio di Sicurezza dell'Onu ha approvato all'unanimità una risoluzione per il disarmo nucleare proposta dal Presidente Usa Obama. La notizia di portata storica è apparsa e scomparsa subito dai giornali italiani, i quali l'hanno considerata meno importante delle esternazioni dei governanti nostrani. Se la risoluzione avrà una coerente applicazione, potranno essere liberate immense risorse per la lotta alla fame, al degrado ambientale, alle disuguaglianze sociali, alle malattie. Il discorso di Obama all'Onu

lunedì 19 ottobre 2009

Un otto settembre



«Siamo alla fine. Questo è l'otto settembre. Non vedi?
Non capisci. Non vedi. Non vuoi vedere. Non vedi che tutto si sta disgregando sotto i nostri occhi? Tutto è a pezzi, in rovina. Camminiamo tra i frantumi e i detriti. Non c'è più nulla che regga. Tutti blaterano. Tutti parlano per dire male. Non c'è pietà né comprensione. Dappertutto c'è rancore, odio, ferocia, senza che, in realtà, nulla distingua le idee degli uni da quelle degli altri. I magistrati calunniano i magistrati, gli uomini di chiesa gli uomini di chiesa. Tutti infieriscono contro tutti ...
Guardali, i politici del 2009. Vogliono soltanto una cosa: apparire, esibirsi, esaltarsi: naturalmente alla televisione. Sono figli della televisione, che li ha completamente contagiati e contaminati. Chiacchierano. Non hanno peso né riserve. Sono irreali, come la televisione. Pensano che il gradimento televisivo sia tutto, mentre non importa nulla. Non sanno fare né preparare. Tra pochissimo, non li vedremo più. All'improvviso scompariranno, insieme al nostro paese: come un corteo di nuvole, come un'accolita di fantasmi».
Carlo Fruttero, in una conversazione con Pietro Citati, 17 ottobre 2009 (la Repubblica)

martedì 13 ottobre 2009

Non aver paura


"Io vengo dalla luna" (2003) Caparezza

"Io non sono nero, io non sono bianco, io non sono attivo, io non sono stanco, io non provengo da nazione alcuna, io si, io vengo dalla luna".



Lo spot della campagna nazionale promossa da numerose organizzazioni

"Più di quattro milioni di persone di origine straniera vivono oggi in Italia. Si tratta in gran parte di lavoratrici e lavoratori che contribuiscono al benessere di questo Paese e, che lentamente e faticosamente, sono entrati a far parte della nostra comunità. Persone spesso vittime di pregiudizi e usate come capri espiatori specialmente quando aumentano l’insicurezza economica e il disagio sociale..." Leggi l'appello completo ed altro su nonaverpaura.org


Foto di Geomangio/Fabiana da Flickr cliccaci sopra per ingrandirla


- "Razzismo. I gesti e le parole che, a poco a poco, ci abituano alla normalità del male". E' il titolo di un servizio del Venerdì di Repubblica. L'inserto e l'intervento di Gad Lerner
- L'associazione Lunaria ha elaborato un libro bianco sul razzismo
- "Di razza umana c'è ne una sola. Quella umana". Il manifesto degli scienziati
- "Il razzismo è una brutta storia" è il titolo di una campagna che la casa editrice Feltrinelli realizza per tutto il 2009 ed anche uno spettacolo che Ascanio Celestini, insieme all'Arci, sta portando in giro per l'Italia.

mercoledì 7 ottobre 2009

In fabbrica



"In Fabbrica" è una storia di volti, di facce operaie, un ritratto umano delle persone che hanno popolato e popolano le fabbriche italiane. E' un omaggio al loro lavoro... La narrazione è affidata alla voce degli operai, sono loro a raccontare il proprio lavoro, le aspirazioni, le sconfitte, le speranze. Il racconto è formato da interviste d'epoca, tratte dagli archivi Rai e Aamod, e da testimonianze dirette raccolte in una fabbrica di oggi. (da cinemaitaliano.info)

Il documentario di Francesca Comencini (durata 73') inizia negli anni '50, con lo sradicamento dalle campagne e dal Meridione, e finisce ai giorni nostri.


"In fabbrica" (2007) Francesca Comencini 1° parte

2° parte La fabbrica cementa legami umani e di classe. Gli anni del boom economico
3° parte La piaga del lavoro minorile. Nelle grandi fabbriche riprendono le agitazioni operaie: bassi salati, lavoro duro e rischioso
4° parte Alla fine degli anni '60 ulteriore esodo verso le fabbriche del nord: i nuovi operai meridionali sono senza casa e servizi. I ritmi alienanti della catena di montaggio
5° parte Autunno '69: l'autunno caldo di milioni di lavoratori muta i rapporti di forza in fabbrica e nella società
6° parte Si punta ad una fabbrica diversa, con l'orgoglio di non essere solo una rotella di un ingranaggio. Negli anni '80 cambia l'economia, con la ristrutturazione industriale la voce operaia inizia ad incrinarsi
7° parte Con la sconfitta alla Fiat si chiude un'epoca, iniziano le sconfitte e sugli operai scende il silenzio. Non scompare il lavoro. Siamo ai giorni nostri
8° parte Nelle fabbriche c'è più disincanto, rimane un'umanità in cerca di diritti e si affacciano nuovi immigrati, quasi la chiusura del cerchio con l'inizio del film.

Grazie a brokenbird 17 che l'ha inserito per spezzoni su youtube.
(Rispetto ai suoi inserimenti la numerazione è sfalsata perchè qui si è saltata la presentazione televisiva)

lunedì 5 ottobre 2009

Todo cambia


"Todo cambia" Julio Numhauser - interpretata da Mercedes Sosa

Tutto cambia

Cambia ciò che è superficiale
e anche ciò che è profondo
cambia il modo di pensare
cambia tutto in questo mondo.

Cambia il clima con gli anni
cambia il pastore il suo pascolo
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia il più prezioso brillante
di mano in mano il suo splendore,
cambia nido l'uccellino
cambia il sentimento degli amanti.

cambia direzione il viandante
sebbene questo lo danneggi
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia
Cambia, tutto cambia.

Cambia il sole nella sua corsa
quando la notte persiste,
cambia la pianta e si veste
di verde in primavera.

Cambia il manto della fiera
cambiano i capelli dell'anziano
e così come tutto cambia
che io cambi non è strano.

Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.

E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.

Cambia, tutto cambia...


L'Argentina piange Mercedes Sosa "cantora popular" di lotta e libertà: un articolo da La Repubblica. Il sito dell'artista

martedì 29 settembre 2009

Climate change - the age of stupid


The Age of Stupid (2009) Franny Armstrong

Un ambizioso dramma/documentario/animazione ambientato nel 2055. In un mondo devastato, Pete Postlethwaite (nomination all-Oscar) interpreta un anziano che si trova a riguardare filmati da archivio del 2008 e a chiedersi: perché non abbiamo fermato il cambiamento climatico quando ne avevamo la possibilità?

Lo stesso tema, affrontato con ironia in uno spot di 1'



In effetti, tutti i giorni siamo un pò stupidi...

martedì 22 settembre 2009

Facce

La propria faccia per dirlo, per esserci, per denunciare, per solidarizzare, per trasmettere un’angoscia, una speranza, per sollecitare coerenza. Quasi sempre è un gesto amaro, raramente è gioioso. La propria faccia è una testimonianza, un sussulto nel buio dell'isolamento e dell'assuefazione.
La notte ha avvolto le grandi narrazioni intessute di legami sociali e di organizzazioni nate per ospitare e dare voce corale ad un universo di umanità. E allora si ricorre a gesti estremi per difendere, ad esempio, il posto di lavoro (con lo sciopero della fame, salendo su un tetto, spogliandosi) oppure si sbatte il proprio volto da qualche parte, in vista, per rompere il silenzio. Ma con le facce, resistenze individuali, ci vuole anche chi rappresenta drammi e passioni civili e li unisce, così da avere forza e futuro.


Novembre 2008, a Milano un gruppo spontaneo di giovani affigge manifesti "Siamo tutti Saviano". Sotto ogni viso il nome di battesimo di ciascuno, seguito dal cognome dello scrittore anticamorra.





Novembre 2008, a Bologna il lastricato di Piazza Maggiore è tappezzato da
1865 foto da calpestare. Sono i volti dei ricercatori universitari che protestano contro la Ministra Gelmini. Si sono fatti calpestare per denunciare che in Italia anche la ricerca è calpestata.




Settembre 2009, a Roma i lavoratori della multinazionale delle telecomunicazioni Nortel Italia lottano contro i licenziamenti. Montano una tenda sul punto più alto della sede, iniziano lo sciopero della fame e sulla facciata dell'edificio appendono gigantografie con il volto dei loro figli insieme allo striscione "Licenziano il nostro futuro".





Settembre 2009, il quotidiano Repubblica sollecita i lettori a proclamarsi "farabutti" con una loro foto, per replicare alle accuse del Presidente del Consiglio che ha definito farabutti i giornalisti che lo criticano.