Urlo, foto di Edy Capannelle da Flickr
I miserabili
A Napoli un bambino è morto a sei anni di povertà. Veniva dall’isola di Capo Verde, ma sapeva già leggere e scrivere in italiano. Era educato, ordinato, molto pignolo, dicono le maestre. Amava il disegno e sognava di fare l’ingegnere. Si chiamava Elvis, come l’eroe del rock. Lo hanno trovato per terra, in una stamberga di venti metri quadri, i polmoni intasati dalle esalazioni di un piccolo braciere. Da quando l’Enel aveva staccato la corrente che alimentava la stufetta elettrica, quel fuoco improvvisato e velenoso era diventato l’unica fonte di riscaldamento di tutta la famiglia. Non c’era altro calore, non c’era più cibo. Ed Elvis se n’è andato così, addosso alla madre agonizzante, la testa appoggiata al ventre da cui era uscito sei anni prima per la sua breve e infelice partecipazione alle vicende del pianeta Terra.
Mi sento totalmente inutile, come giornalista e come essere umano, perché mi tocca ancora raccontare storie del genere, nel mio evoluto Paese. Ci riempiamo la bocca, io per primo, di parole superflue. Ci appassioniamo ai problemi di minoranze potenti e arroganti. E accanto a noi, in un silenzio distratto, si consumano le disfatte degli umili e dei mansueti. Persone come la mamma di Elvis, che fino all’ultimo ha provato a raggranellare onestamente qualche soldo per la stufetta, andando in giro a fare le pulizie. Il Bene ieri ha perso di brutto. L’importante è rendersene conto, non distrarsi, non rassegnarsi, organizzare la riscossa. Anche per Elvis, che tornerà a trovarci ogni giorno, sulla faccia di tanti bambini uguali a lui.
Massimo Gramellini, giornalista La Stampa
Mi sento totalmente inutile, come giornalista e come essere umano, perché mi tocca ancora raccontare storie del genere, nel mio evoluto Paese. Ci riempiamo la bocca, io per primo, di parole superflue. Ci appassioniamo ai problemi di minoranze potenti e arroganti. E accanto a noi, in un silenzio distratto, si consumano le disfatte degli umili e dei mansueti. Persone come la mamma di Elvis, che fino all’ultimo ha provato a raggranellare onestamente qualche soldo per la stufetta, andando in giro a fare le pulizie. Il Bene ieri ha perso di brutto. L’importante è rendersene conto, non distrarsi, non rassegnarsi, organizzare la riscossa. Anche per Elvis, che tornerà a trovarci ogni giorno, sulla faccia di tanti bambini uguali a lui.
Massimo Gramellini, giornalista La Stampa
Urlo, foto di Elido Turco - Gigi da Flickr
La povertà che non fa scandalo
È un dramma contemporaneo eppure antico, quello di Manuela Rodriguez e di suo figlio Elvis che si è consumato in un basso del Rione Sanità, a Napoli. Il piccolo è morto, lei, Maria, è in coma, entrambi asfissiati dalle esalazioni di un braciere che la madre ha acceso per riscaldare l’ambiente, dopo che era rimasta senza elettricità e quindi senza stufetta per una bolletta non pagata. Contemporanea è la nazionalità di Manuela Rodriguez, venuta da Capoverde nel 1992, una donna speciale, unica, dicono con le lacrime agli occhi i vicini intervistati dalla televisione. Contemporanea è la condizione di “madre sola con figlio”, un’esperienza limite sulla frontiera verso il basso nell’attuale battaglia per la vita, per la sopravvivenza. Antica è la dignità, la volontà di Manuela Rodriguez di far vivere al meglio Elvis, che da grande voleva fare l’ingegnere, senza chiedere nulla a nessuno, se non al proprio lavoro. Una povertà che voleva bastare a sé stessa, che ha trovato accoglienza nell’antico quartiere di una grande città che custodisce la memoria di tante storie di povertà. Manuela Rodriguez, evidentemente messa in crisi nel proprio modesto, tirato bilancio da una bolletta forse mai recapitata in precedenza, ha trovato ancora una volta una soluzione da sola, per fare fronte al freddo improvviso. In attesa di poter pagare. Non sapeva, le mancava la memoria, che il fuoco acceso in una stanza chiusa è pericoloso, in quanti sono morti in passato nei bassi napoletani per questo stesso motivo? Lavoro, dignità, povertà sono antiche parole contemporanee. Parole di una presa di coscienza, che dovrebbe essere nuova, attuale, contemporanea, che dovrebbero fare piazza pulita dell’osceno sbandieramento della sicurezza. Chi ha messo in sicurezza la vita di Manuela e di Elvis? Perché la loro vita – la vita di tutti quelli come loro – deve essere esposta al pericolo della mancanza di quello che serve per vivere? Dovrebbero essere questo, l’amore per Manuela e suo figlio, l’indignazione, la rabbia per questa colossale ingiustizia, la motivazione di una scelta politica, di un impegno, della volontà di far sentire la propria voce. O è troppo antico?
Bia Sarasini, giornalista e saggista
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