venerdì 30 luglio 2010

We shall live again



Al di là delle parole e degli articoli di rito, passa quasi inosservata la morte di altri due soldati italiani in Afghanistan, così come non ci si accorge che ormai sono migliaia i civili uccisi in quel Paese dagli eserciti della missione Isaf. "Effetti collaterali", direbbero gli alti gradi, di una guerra che tutti pensano "non si può vincere", i cui intrighi di recente sono stati in parte svelati sulla rete da Wikileaks.
Unica buona notizia di questi giorni: riapre l'ospedale di Emergency a Lashkar Gar, mesi or sono oggetto di una trappola ordita ai danni dell'associazione. Il 1°agosto Emergency ha in programma un concerto a Venezia con Patti Smith: we shall live again... da ascoltare con un fondo di amarezza per troppe morti ingiuste.

"Ghost dance" (1978) Patti Smith

giovedì 29 luglio 2010

Aquiloni a Gaza



29 luglio 2010. Oltre 7200 bambini hanno fatto volare i loro aquiloni nei cieli di Gaza, raddoppiando il record da Guinness dei primati che era stato registrato sempre nel territorio palestinese lo scorso anno.


L'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi Unrwa ha organizzato anche quest'anno l'evento durante un campo estivo organizzato sulla spiaggia nel nord della Striscia.


Foto "La Stampa", cliccaci sopra per ingrandirle

mercoledì 21 luglio 2010

Un prodotto rivoluzionario di nome book

Un prodotto rivoluzionario di nome "libro", da leerestamoda, con sottotitoli italiani.

Sono i giorni della Spagna: da lì arriva una geniale presa in giro di ipad e, più in generale, dei prodotti informatici, da usare senza drogarsi. Cliccatissimo!

lunedì 19 luglio 2010

La lotta delle formiche


"Relativity" (1953) M.C. Escher

Ribellarsi al declino
La lotta delle formiche
Disagi e speranze nel Paese dei nessuno. Quell’Italia che fa ancora il proprio dovere

Buongiorno. Sono il signore che paga il biglietto del tram. La volontaria che assiste gli anziani soli. Il cittadino che non evade le tasse. La signora che chiede per favore. Il pensionato che fa la coda negli uffici. La dirigente che sa ascoltare. Il medico che non guarda l’orologio. L’artigiano che non bara sui conti. Lo studente che non crede alle lotterie.
Io non sgomito. Non appaio. Non cerco scorciatoie. Non mi arrendo. Lavoro a volte anche per gli altri. Mi fermo sulle strisce. Non getto mozziconi nelle strade. Aspetto il mio turno per parlare. Non parcheggio sul marciapiede e neanche in seconda fila. Faccio il mio dovere. Studio, perché penso sia importante per vincere i concorsi. Vado a votare e non al mare. Mando i miei figli alla scuola pubblica. Non penso a veline o tronisti. A volte inseguo le mie passioni...

Giangiacomo Schiavi, Corriere.it 18 luglio 2010 l'articolo completo


Ricostruzione in lego di Andrew Lipson
Le due immagini si possono ingrandire cliccandoci sopra

mercoledì 14 luglio 2010

Perchè gli uomini uccidono le donne



In questi giorni assistiamo ad una impressionante escalation di omicidi. Di uomini che uccidono donne. Qualche vecchio cronista di nera direbbe "succede col caldo, d'estate" e chiuderebbe lì la storia. Michela Marzano smonta questa banalità e decritta il senso dei cosiddetti delitti passionali.


"... Paradossalmente, molti di questi delitti passionali non sono altro che il sintomo del "declino dell'impero patriarcale". Come se la violenza fosse l'unico modo per sventare la minaccia della perdita. Per continuare a mantenere un controllo sulla donna. Per ridurla a mero oggetto di possesso. Ma quando la persona che si ama non è altro che un oggetto, non solo il mondo relazionale diventa un inferno, ma anche l'amore si dissolve e sparisce. Certo, quando si ama, si dipende in parte dall'altra persona. Ma la dipendenza non esclude mai l'autonomia. Al contrario, talvolta è proprio quando si è consapevoli del valore che ha per se stessi un'altra persona che si può capire meglio chi si è e ciò che si vuole. Come scrive Hannah Arendt in una lettera al marito, l'amore permette di rendersi conto che, da soli, si è profondamente incompleti e che è solo quando si è accanto ad un'altra persona che si ha la forza di esplorare zone sconosciute del proprio essere. Ma, per amare, bisogna anche essere pronti a rinunciare a qualcosa. L'altro non è a nostra completa disposizione. L'altro fa resistenza di fronte al nostro tentativo di trattarlo come una semplice "cosa". È tutto questo che dimenticano, non sanno, o non vogliono sapere gli uomini che uccidono per amore. E che pensano di salvaguardare la propria virilità negando all'altro la possibilità di esistere.
"Perchè gli uomini uccidono le donne", Michela Marzano, la Repubblica 14 luglio 2010 L'articolo completo

Marzano parla di "mero oggetto di possesso". Una storia antica, che negli ultimi decenni nella nostra società era stata svelata e combattuta. L''inviolabilità del corpo femminile, almeno nel discorso pubblico, era così riconosciuta, assai meno nell'ambito privato - tra le pareti domestiche le violenze sulle donne sono rimaste altissime. Ma a forza di piccole e all'apparenza inoffensive dosi iniettate quotidianamente specie attraverso la tv, l'idea dell'oggetto ha ripreso forza ed è tornata tristemente normale.

Lo documenta "Il corpo delle donne", di Lorella Zanardo, un video di 24' con immagini tratte da trasmissioni che guardiamo tutti i giorni, senza vedere l'immagine grottesca, volgare, umiliante delle donne. Un oggetto da possedere, financo da violare, all'ultimo stadio da sopprimere.

lunedì 12 luglio 2010

Aranjuez


"Concierto de Aranjuez" (1939) - II movimento - Joaquín Rodrigo
Versione per chitarra (Narciso Yepes) e orchestra


Versione per sola chitarra, nel video un omaggio ai dipinti di Joan Miró

Infine, una versione cantata da Fabrizio De André: "Caro amore" (1967)

Il famosissimo e stupendo "Concierto de Aranjuez" qui diventa un omaggio alla Spagna vincitrice del mondiale di calcio.
A margine, vale la pena ricordare che il dittatore Franco volle appropriarsene. Qualcosa di simile tanti anni dopo provò a fare il Presidente Reagan con "Born in the Usa" di Bruce Springsteen, ma non la passò liscia. I quadri di Miró e l'interpretazione di De André, se ve ne fosse bisogno, cancellano qualsiasi strumentalizzazione franchista.

"In Paradiso tutti saremo suoni"

martedì 6 luglio 2010

Il Belpaese della disuguaglianza

Il Belpaese della disuguaglianza
metà ricchezza al 10% degli italiani

La crisi ha aumentato le distanze sociali. Classe media frantumata. Peggio di noi fra le nazioni sviluppate solo Messico, Turchia, Portogallo, Usa e Polonia

ROMA - Don Paolo Gessaga la spiega così, quasi con uno slogan pubblicitario: "La povertà non è più "senza fissa dimora"". La povertà è accanto a noi. Diffusa e afona, al pari della diseguaglianza. "È meno apparente, ma è più profonda", aggiunge il sacerdote che ha fondato la catena degli empori della Caritas. Dalla sua parrocchia di San Benedetto in via del Gazometro a Roma, nel quartiere popolare Ostiense, questo cinquantenne arrivato dal varesotto, vede, e tocca, da vicino le nuove povertà e le nuove diseguaglianze, coda velenosa della Terza Depressione mondiale come l'ha chiamata il premio Nobel per l'economia Paul Krugman. La crisi ha accentuato le diseguaglianze e frantumato anche la middle class italiana. Siamo diventati tutti americani. E l'Italia, in termini di reddito, è un paese sempre più diseguale: ricchi e poveri, giovani e anziani, uomini e donne, nord e sud. L'eguaglianza non c'è più, né si ricerca, e le distanze si allargano. Lo dice Don Paolo, lo certificano l'Ocse e la Banca d'Italia. Peggio di noi, tra le nazioni cosiddette sviluppate, solo il Messico, la Turchia, il Portogallo, gli Stati Uniti e la Polonia.


clicca sull'immagine per ingrandirla

E forse non è neanche più un caso che l'indice per misurare il tasso di diseguaglianza nella distribuzione del reddito sia stato definito nel secolo passato da uno statistico-economista italiano: Corrado Gini. Forse era già quello un segno premonitore. Ecco, il "coefficiente Gini" ci dice quanto siamo peggiorati. E peggioreremo ancora se è vero che la discesa ha subito un'accelerazione con la recessione precedente, quella dei primi anni Novanta. Meno profonda di questa e più celere nell'abbandonarci, però. "L'esperienza del 1992-93 quando l'economia italiana attraversò una fase severamente negativa, suggerisce che a una crisi economica può seguire un persistente aggravamento della diseguaglianza", ha scritto l'economista della Sapienza di Roma Maurizio Franzini, nel suo recente libro "Ricchi e poveri" (Università Bocconi editore). Basterà aspettare i prossimi mesi.
Più basso è l'indice Gini più eguale è la società. Il nostro indice Gini arriva a 35. In Polonia è 37, negli Stati Uniti 38, in Portogallo 42, in Turchia 43 e in Messico 47. La Francia ha un coefficiente del 28 per cento e la Germania, nonostante gli effetti della riunificazione est-ovest, è al 30. In alto i paesi dell'uguaglianza, l'Europa del nord: la Danimarca e la Svezia con un coefficiente Gini del 23 per cento.

C'è anche un altro modo per misurare la diseguaglianza, dividendo la popolazione in decili: il 10 per cento più ricco e il 10 per cento più povero per poi calcolare quante volte il reddito del primo gruppo supera il secondo. Anche qui siamo messi male, malissimo: gli italiani più ricchi hanno un reddito superiore di dodici volte quello dei più poveri. Certo, in Messico questo rapporto sale a 45, ma nella vecchia Europa ci supera solo la Gran Bretagna con un rapporto che sfiora il 14, mentre la Germania è al 6,9, la Spagna al 10,3, la Svezia al 6,2. Conclusione di una ricerca dell'Ires appena uscita ("Un paese da scongelare", di Aldo Eduardo Carra e Carlo Putignano, edito da Ediesse): "In Italia i ricchi sono più ricchi, il ceto medio è più povero e i poveri sono molto più poveri". E così, in un decennio le diseguaglianze si sono accresciute di oltre cinque punti. Il coefficiente Gini era 29 nel 1991, poi è salito al 34 nel 1993. E ora - si è visto - è al 35. Ma nulla fa pensare che si fermi lì. Anzi: tutto fa pensare il contrario. Altri paesi - la Spagna, per esempio - si sono mossi in direzione esattamente opposta.


La ricchezza è saldamente nelle mani di pochi e lì ci rimane, impedendo la mobilità sociale, condizionando le carriere, costruendo pezzo per pezzo una parte della nostra gerontocrazia. Secondo l'ultimo dato della Banca d'Italia contenuto nella periodica indagine su "I bilanci delle famiglie italiane", il 10 per cento delle famiglie più ricche possiede quasi il 45 per cento dell'intera ricchezza netta delle famiglie. Un livello rimasto sostanzialmente invariato negli ultimi quindici anni. Partecipiamo non sempre consapevolmente a un processo di divaricazione che spinge la classe media verso il basso, i super-ricchi verso l'alto e affonda i più poveri. "Che oggi sono anche in giacca e cravatta, basta guardare come sono cambiate le persone che almeno una volta al giorno vengono a mangiare alla Caritas", racconta Don Paolo da quello che è un osservatorio strategico anche perché Roma è fondamentale nell'attribuire al Lazio il primato negativo della regione più diseguale d'Italia con il 33,9 di coefficiente Gini. Pesano, nella Capitale, ma non solo qui, il caro-casa e la precarietà del lavoro. In alto, la regione italiana dell'eguaglianza è il Friuli Venezia Giulia, regione a statuto speciale, laboriosa e dal benessere diffuso. L'eguaglianza è anche questo.

E, probabilmente, è anche uno dei fattori che porta la provincia di Trieste a un triplo primato: l'età media più elevata tra le province del nord-est, la più alta percentuale di anziani oltre il 65 anni (30,2 per cento), e l'incidenza più elevata di residenti con 80 anni e più (11,2 per cento). Anche nel 2028 - secondo la Fondazione Nord-Est - Trieste manterrà i primati. Perché l'eguaglianza - è la tesi originale che Richard Wilkison e Kate Pickett illustrano nel loro "La misura dell'anima" (Feltrinelli) - migliora "il benessere psicologico di tutti noi". Di più, secondo i due studiosi: "Tanto la società malata quanto l'economia malata hanno le proprie origini nell'aumento della diseguaglianza". E infatti due economisti come Jean-Paul Fitoussi e Joseph Stiglitz pensano che all'origine della grande crisi provocata dai mutui subprime ci sia proprio l'aumento delle diseguaglianza che, ad un certo punto, ha fatto implodere il sistema finanziario.



Di certo tra i frutti di questa "economia malata" ci sono i working poor, i lavoratori poveri, più tute blu che colletti bianchi, ma ci sono anche - lo abbiamo visto - gli impiegati, la classe di mezzo. Un fenomeno che in Italia non avevano ancora conosciuto in queste dimensioni ma che è anch'esso conseguenza di una diseguaglianza crescente. Tra gli operai i "poveri" sono il 14,5 per cento. Percentuale che si impenna fino a sfiorare il 29 per cento nelle regioni meridionali. Il "caso Pomigliano" ha fatto riscoprire la classe operaia e anche la distanza abissale di reddito tra l'amministratore delegato della Fiat, Sergio Marchionne, e i suoi turnisti: il primo guadagna 435 volte di più dei secondi.

Nemmeno la recessione è stata, ed è, uguale per tutti. I giovani stanno pagando più caro. È l'Istat che lo certifica nel suo Rapporto annuale: "La crisi ha determinato nel 2009 una significativa flessione dei giovani occupati (300 mila in meno rispetto all'anno precedente), i quali hanno contribuito per il 79 per cento al calo complessivo dell'occupazione". Un giovane su tre è senza lavoro. Un giovane - ricordano Tito Boeri e Vincenzo Galasso nel loro "Contro i giovani" (Mondadori) - guadagna il 35 per cento in meno di chi ha tra i 31 e i 60 anni (era il 20 per cento negli anni Ottanta). Ecco: così, partendo dal basso, si costruisce un paese diseguale.
Roberto Mania, la Repubblica 5 luglio 2010

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