martedì 30 aprile 2013
Otto ore di lavoro, otto di svago, otto di riposo
La storia della festa dei lavoratori
"Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire" fu la parola d'ordine, coniata in Australia nel 1855, e condivisa da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento.
A sviluppare una grande movimento di lotta per le otto ore furono soprattutto le organizzazioni dei lavoratori statunitensi. Lo stato dell'Illinois nel 1886 approvò una legge che introduceva la giornata lavorativa di otto ore, ma con limitazioni tali da impedirne l'estesa ed effettiva applicazione.
L'entrata in vigore della legge era stata fissata per il 1° maggio e per quel giorno venne organizzata a Chicago una grande manifestazione. Il 1° Maggio 1886 cadeva di sabato, allora giornata lavorativa, ma in dodicimila fabbriche degli Stati Uniti 400 mila lavoratori incrociarono le braccia. Nella sola Chicago scioperarono e parteciparono al grande corteo in 80 mila. Tutto si svolse pacificamente, ma nei giorni successivi scioperi e manifestazioni proseguirono e nelle principali città industriali americane la tensione si fece sempre più acuta. Il lunedì la polizia fece fuoco contro i dimostranti radunati davanti ad una fabbrica per protestare contro i licenziamenti, provocando quattro morti. Per protesta fu indetta una manifestazione per il giorno dopo, durante la quale, mentre la polizia si avvicinava al palco degli oratori per interrompere il comizio, fu lanciata una bomba. I poliziotti aprirono il fuoco sulla folla. Alla fine si contarono otto morti e numerosi feriti. Il giorno dopo a Milwaukee la polizia sparò contro i manifestanti (operai polacchi) provocando nove vittime. Una feroce ondata repressiva si abbatté contro le organizzazioni sindacali e politiche dei lavoratori, le cui sedi furono devastate e chiuse e i cui dirigenti vennero arrestati.
Per i fatti di Chicago furono condannati a morte otto noti esponenti anarchici malgrado non ci fossero prove della loro partecipazione all’attentato. Due di loro ebbero la pena commutata in ergastolo, uno venne trovato morto in cella, gli altri quattro furono impiccati in carcere l’11 novembre 1887.
Il ricordo dei "martiri di Chicago" era diventato simbolo di lotta per le otto ore e riviveva nella giornata ad essa dedicata: il 1 Maggio".
E per rimanere in b/n, negli Stati Uniti e in tema di lavoratori, ecco una sorpresa.
25 Maggio 1944, Madison Square Garden di New York: ad un concerto di beneficenza per la Croce Rossa, il maestro Arturo Toscanini dirige "l'Internazionale".
Per qualche anno questo brano, inserito in una sorta di medley in onore dei Paesi alleati, fu censurato.
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mercoledì 24 aprile 2013
La storia
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"La storia" (1985) Francesco De Gregori
La storia siamo noi, nessuno si senta offeso,
siamo noi questo prato di aghi sotto il cielo.
La storia siamo noi, attenzione,
nessuno si senta escluso.
La storia siamo noi,
siamo noi queste onde nel mare,
questo rumore che rompe il silenzio,
questo silenzio così duro da masticare.
E poi ti dicono "Tutti sono uguali,
tutti rubano alla stessa maniera".
Ma è solo un modo per convincerti
a restare chiuso dentro casa quando viene la sera.
Però la storia non si ferma davvero davanti a un portone,
la storia entra dentro le stanze, le brucia,
la storia dà torto e dà ragione.
La storia siamo noi,
siamo noi che scriviamo le lettere,
siamo noi che abbiamo tutto da vincere,
tutto da perdere.
E poi la gente,
perché è la gente che fa la storia,
quando si tratta di scegliere e di andare,
te la ritrovi tutta con gli occhi aperti,
che sanno benissimo cosa fare.
Quelli che hanno letto milioni di libri
e quelli che non sanno nemmeno parlare,
ed è per questo che la storia dà i brividi,
perchè nessuno la può fermare.
La storia siamo noi,
siamo noi padri e figli,
siamo noi, bella ciao, che partiamo.
La storia non ha nascondigli,
la storia non passa la mano.
La storia siamo noi,
siamo noi questo piatto di grano.
► Se vuoi scoprire i precedenti post sulla Festa della Liberazione, clicca sotto nell'etichetta "25 aprile".
sabato 20 aprile 2013
Chi troppo, chi niente
E' inutile girarci intorno: è la disuguaglianza sociale, cresciuta enormemente in tutte le società negli ultimi venti anni, il male del nostro tempo.
E per non farla troppo lunga in questo post, red-un'altravita vi propone quattro testi: ecco qui sotto i loro link, per informarsi (e non dimenticare il valore del libro).
Nessuno dei loro autori è un pericoloso estremista, eppure oggi - dopo anni di massicce dosi di egoismo sociale - denunciare le diseguaglianze sembra essere rivoluzionario.
- "La misura dell'anima" Qui
- "Il prezzo della disuguaglianza" Qui
- "Nove su dieci" Qui
- "Chi troppo chi niente" Qui
"Chi troppo chi niente", è appena uscito in libreria.
"Ormai sembrano tutti d’accordo: l’Italia deve cambiare. Eppure nessuna delle ricette proposte è ancora riuscita a curare lo Stivale dai suoi mali storici. All’ombra di parole d’ordine quali “austerity” e “taglio del debito” si ritrovano a pagare sempre gli stessi, mentre i soliti noti rafforzano i propri privilegi. La nostra penisola è marchiata da crescenti disuguaglianze che deprimono l’economia, esasperano lo scontro sociale, e soprattutto riducono l’efficienza del sistema-paese. È questa la tesi, semplice ma esplosiva, di Emanuele Ferragina, giovane docente “espatriato” in Inghilterra ed esperto di politiche sociali: occorre ridurre le disuguaglianze, non per ragioni ideologiche, ma per rendere il sistema più funzionale".
mercoledì 17 aprile 2013
venerdì 12 aprile 2013
Vite precarie | Quattrocento
Imbianchini sui cavi del ponte di Brooklyn New York. 1914, Eugene de Salignac
Operai in pausa pranzo su una trave d’acciaio senza protezione in cima
al Rockfeller Center a New York. 1932, Charles Ebbets
Imbianchino della Torre Eiffel. 1953, Marc Riboud
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Questo è il quattrocentesimo post del blog
mercoledì 3 aprile 2013
L'ingenuità della rete
Questo post è rimasto quasi due anni nelle bozze di red-un'altravita.
Rispunta fuori ora, poiché si parla molto e a sproposito di iper-democrazia della rete, per segnalare un libro che The Economist aveva definito "Divertente e dissacrante. Non è solo un bel libro da leggere: è anche una risposta provocatoria e illuminante al cyber-utopismo che circola ovunque in rete".
"Twitter Revolution: se ne è parlato per l’Iran nel 2009, per la Cina e ora per l’Egitto: prima ancora che lo scontento dei cittadini, il grande protagonista delle proteste sembra essere stato il web. La convinzione che le tecnologie digitali siano lo strumento perfetto per la creazione della democrazia corrisponde alla realtà?
Morozov, in antitesi all’ottimismo utopista di pensatori come Clay Shirky, documenta come anche governi tutt’altro che democratici usino le piattaforme digitali piegandole ai loro fini. In Russia e in Cina, scrive, gli spazi di intrattenimento online sono studiati apposta per allontanare l’attenzione dei giovani dalla partecipazione civile. Internet non è inequivocabilmente buona, insomma; Twitter e Facebook non hanno giocato alcun ruolo cruciale; e la rivoluzione sarebbe accaduta con o senza di loro. Pensare alla rete come a un propagatore naturale di democrazia è fuorviante e pericoloso: la strategia più efficace per garantire forme efficaci di cambiamento sociale è rimanere calati solidamente nella realtà."
"L'ingenuità della rete", Codice Edizioni (2011)
Evgeny Morazov, classe 1984, scrive su New York Times, Washington Post, The Economist. Negli Usa è uscito il suo nuovo libro, qui recensito da Wired
Per proseguire l'argomento, ecco un bell'articolo pubblicato oggi su Dayly Wired.
L'illusione della neutralità e la democrazia elettronica
"...Può Internet rappresentare davvero un ausilio per la vita democratica? Ha senso parlare di democrazia elettronica, di agorà elettronica?
Le opportunità e i punti di forza offerti dalla tecnologie dell'informazione sono tanti: accesso alle immense basi di conoscenza, discussioni più ampie ed approfondite, decisioni più informate, opportunità di estendere la partecipazione anche a chi ha difficoltà a spostarsi fisicamente, maggiore trasparenza e possibilità di controllo dal basso, costi contenuti degli strumenti stessi.
Sono tanti però anche i rischi e le debolezze: rischio di una partecipazione deresponsabilizzata ed anonima, sfumatura delle diversità (sociali, di culture, di genere), confusione tra mondo reale e mondo digitale, tra istituzioni reali e comunità virtuali, eccessiva accelerazione dei processi decisionali, sovraccarico di informazioni, assenza di regole decisionali e linee guida consolidate dovute a scarsa esperienza (con il rischio di ricadere nella vecchia situazione di uno solo al comando), risorse economiche e culturali per accedere a Internet non ancora alla portata di tutti, rischio di perdere le caratteristiche fondamentali della democrazia...
La democrazia è troppo importante per lasciarla solo al software, si chiamasse pure Liquid Feedback."
Norberto Patrignani, 3 aprile 2013, Daily.Wired.it L'articolo completo
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