Con la trasmissione "Non è mai troppo tardi" negli anni '60 il Maestro Alberto Manzi insegnò a leggere e scrivere. Oggi avviene il contrario.
"Piuttosto che" è un modo di dire da anni deformato e trasferito via tv nella testa e nella lingua di molti. Viene usato come sinonimo di "o", di "oppure", di "e/o", a mò di elenco, distorcendone completamente il significato. Chi dice "Mi piacerebbe visitare Roma, piuttosto che Milano, piuttosto che Napoli" intende erroneamente comunicare che una meta vale l'altra. Il significato corretto di questa affermazione, invece, attribuisce il gradimento al primo termine usato - Roma - per escludere gli altri. In altre parole: Roma è preferibile a Milano e Napoli.
Non è questione di "purismo", è deformare il senso delle cose e trarre in inganno le persone. E questo non va bene.
La parola "passaggio" ha molteplici significati. Ultimamente è divenuta una parola omnicomprensiva, semplificante, abusata come sinonimo. Usata in senso figurato ha ucciso termini quali: brano, capoverso, concetto, frase, passo, periodo. Analogamente ha ucciso anche: scadenza, momento, frangente, occasione, appuntamento, ecc. Particolarmente dediti a quest'uso sono politici e giornalisti, significativamente due facce di una medesima medaglia spesso scadente.
Con la lingua rinsecchiscono anche senso e valore delle cose. E questo non va bene.
"Parole di plastica. Contagiati da un lessico bugiardo" è il titolo di un bell'articolo che parla di tre libri usciti recentemente e in contemporanea.
"Sulla lingua del tempo presente" di Gustavo Zagrebelsky, "La manomissione delle parole" di Gianrico Carofiglio e "Non se ne può più" di Stefano Bartezzaghi" compongono da diverse prospettive un dizionario dei luoghi comuni che trasformano i nostri discorsi in un ipnotizzante blabla privo di senso.
Il post le parole sono importanti
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