mercoledì 25 novembre 2009

Invisibili



La classe invisibile alla ricerca di una voce

Le immagini degli operai che salgono su ciminiere alte 170 metri per restarci intere giornate, o su una gru, oppure occupano una fabbrica che ha annunciato il loro licenziamento, sono scorci di una realtà ignota ai più, frammenti che si intravvedono per un istante attraverso una finestra che viene subito richiusa. Sono immagini d'una condizione di vita e di lavoro che sebbene coinvolga ancor oggi milioni di persone è virtualmente ignota a tutto il resto della società. Scatti fotografici d'una classe sociale che resta altrimenti invisibile.
Aver reso socialmente invisibile il lavoro degli operai come insieme, come classe sociale, è uno dei tristi successi della società italiana degli ultimi decenni. Al presente, per gli uomini politici, compresi molti di sinistra, parlare degli operai come classe sembra un frusto ritornello, un indugiare su un passato irrecuperabile.
Perfino a molti sindacalisti non sembra un argomento su cui insistere; temono, a volte con ragione, di non essere più votati. Da parte loro le scienze economiche e sociali si sono impegnate soprattutto a scrutare l'avvento del post-industriale, o meglio della società della conoscenza, quel luogo radioso dove più nessuno si sporca le mani nè si rompe la schiena dalla fatica perché tutte le merci sono prodotte dalle macchine. Oppure da qualcuno in Cina o in India che anche se guadagna quattro euro al giorno e lavora settanta ore la settimana deve dir grazie, perché prima - ci assicurano - stava peggio. Pure ai narratori ed ai registi la classe che doveva andare in paradiso da tempo non interessa più. Rende maggiormente, anche sotto il rispettabile profilo della fama, occuparsi di crisi: non di quella economica, bensì degli adolescenti, dei quarantenni, delle famiglie di città o degli amori di provincia.
Di operai parla abbastanza spesso la TV. Quasi ogni giorno ci informa che qualcuno è morto cadendo dal tetto o calandosi in una cisterna o venendo travolto da un carrello mentre lavorava sui binari. Un po' più di rado ci informa che tot persone sono decedute perché hanno respirato amianto o altre sostanze nocive per decenni. Ma parla di questi come fossero sgradevoli eventi individuali, anziché elementi costitutivi della vita di tutti coloro che fanno parte, lo gradiscano o no, di una comunità di destino - che è il significato antico e perenne di classe sociale.
Eppure gli operai sono ancora tanti. Più o meno sette milioni, circa la metà nel settore manifatturiero e gli altri sparsi tra trasporti, costruzioni, industrie della conservazione, agricoltura e servizi vari. Nemmeno in un supermercato, quintessenza del terziario, i prodotti si collocano da sé negli scaffali, né le camere si rifanno da sole in un hotel. Quel che accomuna questa massa di persone, legandole materialmente a un destino collettivo, sono una serie di situazioni che basterebbero a riempire l'agenda politica di qualsiasi forza riuscisse ancora a vederle. In termini reali, le loro retribuzioni sono quasi ferme da oltre dieci anni, ovvero sono aumentate in misura minima rispetto agli altri paesi della Ue a 15. In rapporto al Pil, hanno perso in vent'anni tra 8 e 10 punti percentuali rispetto alle rendite e altri redditi da capitale. Si tratta di decine di miliardi di euro l'anno che sono andati ad altre classi sociali. A forza di riforme del sistema previdenziale fondate, più che sui bilanci effettivi dell'Inps o sull'andamento reale del rapporto tra attivi e inattivi, sull'accusa di ostinarsi a vivere più a lungo, vanno incontro a pensioni da poveri. Non bastasse, adesso la crisi ha posto questa massa di persone, grazie anche alle riforme più che decennali del mercato del lavoro, dinanzi a un aspro scenario: molti lavoratori che contavano su un'occupazione stabile l'hanno persa o stanno per perderla. Molti disoccupati non troveranno lavoro per anni. Una quota rilevante di essi non lo troverà mai più.
Le immagini degli operai che protestano, in forme nuove o tradizionali che siano, se uno guarda bene, hanno nello sfondo queste situazioni. Comuni a tutti loro. Se un politico vi dice che le classi sociali non esistono più, suggeritegli cortesemente di cambiare mestiere.
Luciano Gallino, repubblica.it, 24 novembre 2009

Un'altra vita ha dedicato vari post a questo tema:


mercoledì 18 novembre 2009

Strade di ferro

"E' importante che lo sappiate, il treno viaggia solo a sinistra. Se c'è doppio binario lui occupa rigorosamente quel lato. Left, gauche, izquierda. Solo in casi specialissimi - lavori sulla linea, catastrofi - lo spostano a destra per il tempo minimo necessario. L'operazione ha un nome tecnico preciso: "Binario illegale". Indica che la destra è una temporaneità così straordinaria da essere fuori legge...fantastico...".
"L'Italia in seconda classe" di Paolo Rumiz (Feltrinelli, 2009).

Diario di un viaggio lungo oltre 7.000 km, su e giù per l'Italia attraverso tratte ferroviarie minori e semisconosciute, come quella che si vede nel primo video qui sotto. Un atto d'amore verso il treno ed una pungente denuncia di un modello di sviluppo che ha castrato molte strade di ferro.



Il treno è il protagonista di tante storie. Eccone alcune.
Qui sotto un Guccini d'annata (1982!) nella sua più celebre canzone. Anche in mp3, versione live


"La locomotiva" (1972) Francesco Guccini

Un avvincente film quasi per intero ambientato su un treno.

"Runaway Train" A trenta secondi dalla fine (1985) Andrei Konchalovsky

La scena finale di uno straordinario film che in forma allegorica narra l'Olocausto degli ebrei durante la seconda guerra mondiale.


"Train de vie" (1998) Radu Mihaileanu

Una canzone di Rino Gaetano, che ci parla anche di storie italiane.


"Agapito Malteni, il ferroviere" (1974) Rino Gaetano
interpretata oggi da un gruppo dal nome singolare: Operai della Fiat 1100 (da un'altra canzone di Gaetano).

Avanza la modernizzazione, una di quelle parole che nascondono tutto e nulla, spesso fregature.
"Presa diretta", la trasmissione Rai di Riccardo Jacona ha svelato l'imbroglio.
18 anni fa è stato presentato per la prima volta il progetto della TAV, l'alta velocità ferroviaria. Era prevista una spesa di 15 miliardi di euro, quasi tutto da capitali privati. I politici dell’epoca, infatti, avevano promesso che l’opera si sarebbe in parte autofinanziata e che il 60 per cento dei quindici miliardi necessari alla sua realizzazione sarebbero arrivati da investitori.
La realtà è stata ben diversa: i quindici miliardi sono già diventati 32 e ancora la TAV non è finita. Purtroppo l’alta velocità è tutta a carico del cittadino che la sta pagando con le tasse perché per trovare i fondi lo stato italiano si è indebitato per decenni. Ci vorranno due generazioni per saldare il debito che ha contratto.
Nel frattempo Trenitalia punta tutto sulle frecce rosse ed il resto del trasporto (pendolari, merci) va a ramengo.

giovedì 12 novembre 2009

Pipì nella doccia




Quella che per molti è un piccola trasgressione potrebbe diventare un importante gesto per salvare la salute del nostro pianeta. L'idea è venuta a una ong brasiliana, SOS Mata Atlântica, che ha fatto un semplice calcolo: se tutti i cittadini brasiliani facessero una volta al giorno pipì nella doccia (evitando quindi di tirare l'acqua del wc) risparmierebbero ciascuno 4.380 litri di acqua potabile all'anno. Per chiarire il concetto la ong ha preparato un divertente spot animato, diventato in breve una star della Rete.
La campagna, chiamata semplicemente «Pipì nella vasca», è seria: l'obiettivo della ong è salvare in particolare la foresta atlantica del Brasile, un prezioso patrimonio di biodiversità distrutto per più del 90% nel corso del 20° secolo (per le coltivazioni di canna da zucchero e caffè) e ancora oggi minacciato per l'enorme sviluppo di due megalopoli, Rio de Janeiro e San Paolo. Insomma una pipì nella doccia pensando al pianeta. E senza effetti collaterali: essendo l'urina costituita al 95% di acqua, sottolinea la ong, non ci sono rischi igienici o di cattivi odori.
Da Corriere.it

il sito con una bella grafica con la quale giocare (il caricamento richiede qualche secondo).

giovedì 5 novembre 2009

I miserabili, Paolini e la Thatcher


"Una volta tutti lo sapevano chi erano i miserabili, perché leggevano Hugo e li vedevano per la strada. Oggi la miseria è l'avverarsi della profezia della Thatcher per cui non esiste la società, solo individui soli».

Lunedì 9 novembre ore 21.30, da Taranto in diretta televisiva su La7
"Miserabili, io e Margharet Thatcher", con Marco Paolini e i Mercanti di Liquore

L'Italia

Quand’io l’ho conosciuta l’Italia era già donna
e di costituzione robusta sana e forte,
e più che lavorare direi che tribolava
poi, dato che era grassa, madonna se sudava.
Due bestie nella stalla e un coro di galline
a cui tirare il collo per farci stare bene,
per farci fare festa, l’Italia si inventava
storie favolose, chissà come faceva!
Se la portavi in giro, l’Italia maglia rosa,
montava dietro in macchina perché era rispettosa,
mezzo sedile a lei e mezzo a noi fratelli,
non proprio di Mameli, però abbastanza belli.
Si andava a cena fuori e lei mangiava tutto
che poi ci si poteva specchiare dentro al piatto,
poi con la pancia piena di scatto lei si alzava,
faceva un bell’inchino, l’Italia, e poi ballava.
Noi zitti e affascinati dal ritmo dei suoi passi,
ballava proprio bene, come spesso fanno i grassi,
l’Italia nel volteggio sbuffava e si impegnava,
sembrava che cascasse… ma si risollevava.
Quando l’ho conosciuta eravamo compaesani,
puzzava di miseria e aveva modi strani,
con quel vocione forte e un tuono di risata
contenta perché viva e in più sopravvissuta
a guerra e dopoguerra e guerra dopo ancora.
Di indole puttana e in abito da suora,
maestra di furbizia e un po’ voltagabbana,
però rispetto ad altre, più tenera ed umana.
Avevi gli occhi ardenti e un bel gesticolare,
il seno prominente e un’aria familiare,
un corpo molto goffo e un po’ fuori misura
tenuto assieme a stento coi punti di sutura
eppure ancora bella, magnetica, attraente,
una bellezza impudica, a volte sconveniente,
propensa e ben disposta ai vizi del piacere
l’Italia, non lo nego, sapeva anche godere.
Con il passar degli anni ci siam persi di vista:
le scrissi molte volte ma senza mai risposta,
mi dissero che si era messa in certi giri strani
e che si accompagnava con ladri e con ruffiani.
Poi ieri l’ho incontrata dentro a un supermercato,
l’Italia, col carrello al reparto surgelati,
talmente dimagrita che mi pareva un’altra,
gli zigomi rifatti e la frangetta corta.
Avrei voluto dirle che avevo nostalgia
dei tempi in cui godevo della sua compagnia,
che la trovavo bella, davvero seducente
e che, anche se lontano, ero pur sempre un suo parente.
Lei mi ha guardato come si guardano i bambini:
mi ha chiesto se sapevo dov’erano i grissini.
Vedendomi perplesso di scatto s’è voltata
e in men che non si dica l’Italia se n’è andata.
Italia, antico amore, hai perso l’allegria
e forse non ricordi l’antica cortesia,
ebbene si, lo ammetto, ci son rimasto male,
che diamine! Potevi almeno salutare!
Però, malgrado tutto, ti voglio ancora bene,
qualcosa di me stesso ancora ti appartiene.
Ti piace far la stronza e farmi disperare
ma so che un giorno o l’altro ti rivedrò ballare.

di Lorenzo Monguzzi e Marco Paolini, musica Mercanti di Liquore

Per ascoltare la canzone clicca qui
"Ho sognato la Thatcher", un articolo di Paolini per l'Espresso (ottobre 2009)